Finalmente. Un fine settimana asciutto. Una parentesi tra lunghe settimane di pioggia e freddo che sembravano un muro invalicabile per il sole ed il caldo. Poi, all’improvviso, scopri che non è più novembre ma giugno, e l’alba illuminata ti risveglia e ti cambia come un fiore che diventa frutto nella luce dell’estate.

Un bel gruppo di amici si ritrova alle 6.45 del mattino a Busto Arsizio, a pochi passi dall’autostrada. Alcuni sono in coppia, altri in tre: motociclista e moto, o motociclista, compagna e moto. Può sembrare strano ma un biker non è mai solo: quando cavalca il suo cavallo a combustione è già in ottima compagnia. Alle 7.00 i motori si accendono e uno sciame di moto si riversa sull’autostrada dei laghi in direzione sud. Affamato di asfalto divora i chilometri di strada che attraversano la cintura milanese, il pavese ed il lodigiano, per poi scavalcare il Po nel piacentino approdando in Emilia Romagna. Parma, Reggio Emilia e Modena passano veloci oltre le spalle e i cartelli che annunciano Bologna indicano che è il momento di cambiare direzione e affrontare il tratto appenninico che in poco più di ottanta chilometri porta a Firenze. Tre tappe per fare benzina e, più tardi, per mettere mano alla borsa termica che custodisce il fugace pranzo in attesa della mangiata serale, e alle 12.00 le magliette arancioni del Moto Club Golasecca colorano il campeggio che domina la città toscana, poco oltre il ben noto Piazzale Michelangelo, terrazza panoramica che guarda Firenze e l’Arno da un punto privilegiato: da qui milioni di persone immortalano la vecchia Fiorenza con foto panoramiche mozzafiato.

Mezzora dopo, un altro socio spunta tra la vegetazione del camping: non si è perso lungo il tragitto ma è partito un’ora dopo gli altri per via della nottata lavorativa. Il viaggio in solitudine ha diverse facce: c’è quella alienante del non parlare con nessun altro se non con sé stesso, c’è quella pratica che ti permette di affrontare la trasferta con i tuoi tempi senza dover rincorrere i più veloci o attendere i più leziosi, c’è quella ludica che ti fa giocare a scovare le decine di autovelox che popolano l’Appennino Tosco-Emiliano in un continuo apri e chiudi del gas. E c’è anche quella del ricongiungimento: quando raggiungi i tuoi amici che ti accolgono come se non ti vedessero da anni ti senti come se fossi tornato a casa dopo un viaggio, anche se in realtà il viaggio è appena iniziato.

La giornata è calda ed assolata, e meriterebbe un attimo di relax per distendersi dopo il viaggio autostradale; ma l’intenzione è quella di visitare la città come classici turisti e non di bivaccare come fossimo ad un motoraduno. Per fortuna non ci sono tende da piazzare: il campeggio dispone di casette in tela con letto, materasso e cuscino, per cui l’unico sforzo da fare è quello di togliere i bagagli dalla moto e posarli nella tenda. Sembra facile, ma a noi ci piace faticare: infatti impugniamo i bauli da venti-trenta chili e ci muoviamo in direzione opposta alle tende che dovremmo occupare. Risultato: si deve fare dietrofront e affrontare la salita che riporta alle moto; le casette erano lì a cinque metri. Iniziamo bene.

Dopo una doccia rinfrescante il gruppo parte alla scoperta di Firenze. Come tanti Indiana Jones della mutua ci spostiamo sul vicino Piazzale Michelangelo dove è impossibile non innamorarsi del colpo d’occhio offerto. Mettiamo tutti mano alle fotocamere digitali o ai telefoni per immortalare la città dall’alto, e dopo qualche minuto iniziamo la discesa verso l’Arno. Il fiume è mansueto e colorato di verde e di azzurro, e la sua pacatezza stride con la forza che è in grado di sprigionare come fece alla fine degli anni sessanta, quando esondò superando gli alti argini per riversarsi fino nel cuore della città. Ci tiene compagnia fino al Ponte Vecchio, l’unico ponte di Firenze che non sia stato abbattuto nel corso della seconda guerra mondiale, dove la storia e l’arte si mischiano alle fiorenti botteghe di orafi. Alla destra la Galleria degli Uffizi si specchia nell’Arno. Varcato l’arco si entra in una macchina del tempo: lungo le pareti che creano la corte interna troneggiano le statue dei grandi pensatori, scrittori, scienziati e artisti che hanno reso immortale Firenze. In poco tempo e con poche birre si giunge quindi in Piazza della Signoria. Qui non si sa davvero da che parte guardare: Palazzo Vecchio con il suo alto torrione domina l’orizzonte, ma vi è la Loggia dei Lanzi dirimpetto che racchiude in sé grandiose statue; l’occhio si sposta poi sul David di Michelangelo, sulla testa mozzata di Minerva, sull’Ercole, sugli archi nel lato più orientale della piazza. Ovunque è un fiorire d’arte, e ovunque vi sono persone che fotografano o si fanno riprendere con tanta bellezza alle spalle. Ma non è tutto: continuando a camminare tra un fiume ininterrotto di fiorentini, italiani, tedeschi e chissà quante altre nazionalità diverse, si giunge alla cattedrale di Santa Maria del Fiore, il Duomo, e al campanile di Giotto, che insieme al battistero di San Giovanni ricco della famosa Porta del Paradiso formano una triade che riempie gli occhi e suscita stupore. Qui tonnellate di pregiati marmi ricoprono ogni metro quadrato, all’esterno e all’interno di questi luoghi sacri. E sopra di essi domina imponente la cupola del Brunelleschi. In ogni angolo riecheggiano le gesta e le parole dei Medici, dei Guelfi e dei Ghibellini, di Michelangelo, di Pico della Mirandola, del Verrocchio, di Botticelli, Galileo Galilei, Brunelleschi e Leonardo da Vinci. Ovunque, lungo ogni direttrice, le architetture rinascimentali e medievali viste e riviste in televisione e nei libri di storia diventano concrete, tangibili: Piazza Santa Trinità, l’arco di Piazza della Repubblica, Via degli Speziali sono solo i primi nomi di un lungo elenco.

E’ facile capire come in un luogo così denso il tempo scorra velocemente. Infatti dopo tanto splendente passato ci ritroviamo in un tangibile presente fatto di tavoli e sedie. Sono già passate le sette della sera e dopo un fugace aperitivo cino-fiorentino, finalmente, diamo spazio alle esigenze primarie: ciccia e vino. La bistecca di carne chianina, morbida, saporita e succulenta sparisce velocemente dai piatti, insieme alle patate e a lunghi sorsi di rosso Chianti. E così, dopo che le ore hanno corso velocemente durante il pomeriggio, i minuti si susseguono più lentamente tra cibo e risate, aneddoti e memorie motociclistiche, bonarie prese in giro e accenni canori, brindisi in onore di una coppia di amici che festeggia il ventitreesimo anno di matrimonio. Verso le dieci della sera abbandoniamo il ristorante che ci ha ospitati, posto a metà strada tra Piazza della Signoria e Santa Maria Novella, e ci immergiamo nella Firenze notturna: qui troviamo nuovamente centinaia di persone che camminano lungo il centro storico, che ora non è più illuminato dal sole ma dalle luci poste ad arte per sottolineare gli scorci e gli edifici che popolano vie e piazze. Gli scalini della Loggia dei Lanzi sono un ottimo luogo presso cui sostare per ammirare Piazza della Signoria e le sculture che, nell’oscurità della notte, sono presenze eteree e a tratti inquietanti. Birre e limoncello ci portano verso le ore piccole, e a qualcuno sciolgono la timidezza fino a portarlo a chiacchierare a lungo con una guardia giurata, attratto dal fascino del gentil sesso in divisa.

Quando ormai è già domenica ci dirigiamo verso il campeggio, frammentati in più gruppetti ognuno dei quali è attratto da diversi soggetti: chi da un musicista di strada che suona una chitarra molto poetica, chi da un particolare scorcio a cui deve necessariamente fare una foto, chi si perde nella contemplazione dell’Arno sulla cui superficie danzano leggiadre le luci che si riflettono dagli edifici. La risalita verso Piazzale Michelangelo è lenta: nelle gambe ci sono quattrocento chilometri, il caldo, qualche chilometro di camminata e qualche bicchiere di troppo; qualcuno ha anche le fiacche ai piedi per aver camminato tutto il giorno con le infradito. Tra le due e le due e mezzo della notte, a Firenze non si sentono più le voci dei soci del Moto Club Golasecca.

Il mattino della domenica ci coglie assonnati e un po’ svogliati. Tra le otto e le nove è tutto un brulicare tra bagni, docce e bar dove facciamo colazione. C’è anche da preparare il bagaglio: dobbiamo accatastare tutto in un’unica casetta così da poter liberare tutte le tende tranne una, che ci fa appunto da magazzino. L’insieme di caschi, capi tecnici, stivali e bauletti ricorda un negozio di accessori e abbigliamento per motociclisti. Inizia quindi il secondo giorno da turisti, che ci porta nuovamente giù lungo l’Arno, Ponte Vecchio e il centro storico. Palazzo Pitti e il Giardino di Boboli sono le mete antimeridiane, mentre nel primo pomeriggio qualcuno visiterà Santa Maria Novella. Non tutti: c’è chi dopo uno spuntino fa ritorno al campeggio e si rilassa guardando la gara di motociclismo che si svolge nel circuito del Mugello, a pochi chilometri da noi, affrontando per l’ultima volta la salita verso la piazza panoramica o magari utilizzando un pullman senza pagare il biglietto. Ma non ditelo a nessuno.

Verso le tre e mezza del pomeriggio carichiamo le moto e partiamo puntando l’autostrada che ci riporterà a casa. Sarà un viaggio in fuga dagli autovelox, dalle code di automobili incolonnate per chilometri a causa di incidenti, dal caldo e dal sole che verso sera abbaglia gli occhi e annebbia la vista. Una sosta a Modena per imbarcare carburante e una a Casalpusterlengo per dissetarsi e salutarsi, e poi via verso i luoghi della nostra quotidianità. Nello specchietto retrovisore il cupolone non si vede più da ore, ma la sua mole sontuosa riempie ancora gli occhi.

Questo è il racconto di due giorni vissuti da un gruppo di amici motociclisti. Firenze, invece, non può essere raccontata: è una grande città che deve essere vissuta e apprezzata in prima persona. E’ la culla dell’Italia moderna, dunque anche di ognuno di noi.

 

Qui le immagini del weekend