Il racconto che segue è stato scritto dal nostro amico Flavio al ritorno della gita che lo ha portato sui luoghi della tragedia del Vajont, lo scorso primo week-end di Maggio. Dalle righe emerge l’emozione con cui i suoi occhi hanno letto le ferite inferte quasi cinquanta anni a quei luoghi e, soprattutto, a quella gente.

Da parte di tutti noi un sentito grazie a Flavio! Ci chiediamo tra l’altro come mai abbia lasciato fino ad oggi nel cassetto questa sua vena narrativa. Speriamo dia nuovamente il suo contributo in futuro così che questo spazio possa lasciar parlare sempre più voci, ed essere davvero di tutti noi.

 

 

Oggi primo maggio siamo partiti alla volta della diga del Vajont. A dire il vero, il sottoscritto la sera prima, vedendo le condizioni meteo e le previsioni, aveva dato un mezzo forfait al nostro Presidente e responsabile di gita. Poi, al mattino, sveglia comunque alle 5:30, vedendo un cielo azzurro, molto convinto e dopo una bella doccia, mi vesto di tutto il necessario e parto con la voglia di avventura nel cuore. I miei 2 angioletti Fabiola e Cristian e mia moglie Gaia dormono ancora profondamente e non sentono nemmeno il rombo del mio destriero che cancella come d’incanto le piccole preoccupazioni e responsabilità quotidiane, lasciandomi però la gioia di una famiglia serena che mi segue nei pensieri e mi sostiene nelle passioni.

L’aria tersa del mattino e il profumo della pioggia mi accompagnano fino al luogo d’incontro, il bar Peccati di Gola, dove trovo già il nostro Presidente stupito di vedermi. Ci raggiungono poi Edoardo e Fabrizio. Fino all’incirca verso Verona troviamo un cielo abbastanza minaccioso che poi si apre rapidamente in un tenue sole, più convincente man mano che ci avviciniamo alla nostra meta. Tutto ciò ci mette di buonumore. Sosta veloce per il primo rifornimento e via che si riparte.

Alle 10:30 entriamo nella valle del Vajont e alle 10:45 sostiamo al cimitero vittime del Vajont di Longarone, Monumento Nazionale a ricordo. La commozione è tangibile: tutte quelle lapidi bianche, le foto, i resti del disastro e le piccole grandi testimonianze del dolore, soprattutto dei bambini, mi toccano nel profondo. Non c’è nemmeno il più piccolo spazio per la rabbia contro le grandi ingiustizie compiute verso questa gente, all’ epoca molto povera, ma di grande dignità e dedizione al lavoro.

Usciamo in punta di piedi e ci dirigiamo più in alto, verso la diga, ormai tristemente famosa. Il percorso è molto bello, ma ci asteniamo dal divertirci un po’ nella guida per evitare di accostarci ai molti piloti stile fumetto di Joe Bar che affollano le curve. Arrivati a destinazione, attendendo il nostro turno per la visita guidata, ci gustiamo un buon panino, osservando da vicino l’impressionante frana che ha riempito l’invaso, monito spietato e perenne della natura verso l’arroganza degli uomini. Sono preparato, mi sono documentato bene dicevo a me stesso, ma un’altra cosa è essere sul luogo e sentire il racconto della tragedia da chi l’ha vissuta, anche se molto piccolo. Osservando da sopra la diga e pensando all’onda immensa che ha portato morte e devastazione, si fatica davvero ad immaginare la portata di ciò che è avvenuto in pochi minuti.

Terminata la visita e ripassando sul camminamento della diga, viene a tutti naturale restare in rispettoso silenzio nel ricordo di tanta sofferenza che qui ha avuto origine. Ci spostiamo quindi verso il pesino di Casso, 150 metri circa sopra la diga; da qui si capisce ancor più l’immensità della frana e dell’onda creatasi: l’acqua e i detriti, innalzandosi, sono arrivati fin qui!!! Dev’essere stato un evento incredibilmente mostruoso!

Il nostro viaggio continua verso il paese di Erto, a pochi chilometri: anche qui l’onda assassina ha mietuto 150 delle quasi 2.000 vittime, la maggior parte delle quali non verrà più ritrovata. Vogliamo lasciarci un po’ alle spalle tanta tristezza e ci perdiamo nei vicoli di Erto, paese natale dell’eclettico scalatore e scultore di legno Mauro Corona. Prima però, parcheggiamo le moto e depositiamo i nostri bagagli dalla gentilissima affittacamere Sig.ra Emma che nota subito sul volto di Fabrizio una particolare stanchezza della giornata.

Ci rilassiamo visitando appunto il paese dove Cesare s’ impegna, coinvolgendoci, alla ricerca di una particolare tomba nel piccolo cimitero: molto probabilmente a causa della sua rimozione per le dimensioni ridotte di questo piccolo luogo di sepoltura, non riusciamo nell’intento. In un baleno arriva l’ora di cena: Cesare ed Edoardo sono particolarmente affamati perché poco prima abbiamo gustato un buon verduzzo con un tagliere che pensavamo fosse per ognuno, mentre ce lo siamo dovuti dividere. Praticamente un “taglierino”! A cena ultimata, uscendo già capiamo che all’indomani il tempo non sarebbe stato così clemente, ma dopo un buona grappa ci corichiamo sperando positivo per le successive tappe.

Al mattino il cielo è minaccioso, ma piove leggermente senza mai diluviare. Non male pensiamo. Decidiamo allora di proseguire verso Cortina d’ Ampezzo, attraverso Valle di Cadore, Cortina, poi Passo Falzarego, Cernandoi, Arabba, Passo Pordoi, Canazei. Non c’è tempo e soprattutto voglia di fermarsi viste le condizioni meteo: solo qualche foto ai passi e un veloce caffè. Lo spettacolo che si cela ai nostri occhi è uno dei più belli al mondo, ma ci dobbiamo accontentare di immaginarlo, nascosto com’è sotto una fitta coltre di nubi.

Proseguiamo attraverso la Val di Fassa: Vigo, Moena, Predazzo, Cavalese, poi verso Trento costeggiando l’autostrada. Credo poco prima di Trento, ci fermiamo almeno per un frugale buon pranzo: abbiamo deciso di proseguire per la Gardesana (sponda occidentale del Lago di Garda) e dopo aver superato Torbole e Riva del Garda, ci aspetta un susseguirsi di curve senza fine dove il traffico lento e la conformazione della strada concedono solo pochi tratti dove poter superare i tanti caravan che avanzano sfiorando le pareti rocciose.

Poco prima di Brescia, abbeveriamo per l’ ultima volta i cavalli ed entriamo in autostrada : l’ultimo saluto in autogrill e poi ognuno verso la propria casa, soddisfatto per questi 2 giorni spensierati.

Ringrazio i miei compagni Cesare, Edoardo e Fabrizio per l’ottima compagnia, permettendomi di suggerire un percorso simile il prossimo anno, nella speranza che il mio racconto possa trasmettere un po’ di emozione e la voglia di partecipare a molti altri associati.

 

Flavio.