"E se quello me le dà?"

"Prendile, don Camillo. Sopporta, soffri come ho fatto io."

Don Camillo guardò il Cristo: "Gesù" disse "Vi pare proprio che io abbia la faccia del fesso?".

"No" rispose il Cristo. "No davvero, don Camillo."

Allora don Camillo si volse e si rimboccò le maniche.

(Tratto dal Don Camillo di Giovannino Guareschi)

 

Sono tante le scene dei film di Peppone e Don Camillo che tornano alla mente durante la trasferta autostradale che da Busto Arsizio ci porta a Parma, giù nella Bassa. Il motore che ronza svogliato in un sabato pomeriggio, il cielo grigio, gli spruzzi d'acqua che si divertono a sporcare la moto senza bagnarla e la strada diritta rallentano i pensieri, lasciando spazio alle gag viste e riviste in televisione per tanti anni ma che strappano ancora un sorriso sotto ai baffi. Anzi, sotto al casco.

Vero le 15.30 orbitiamo come satelliti attorno a Parma, lungo la rotta tracciata dalla sua tangenziale nord. Pochi chilometri tra raccordi e saliscendi ed entriamo nella rettilinea Via Mantova che punta verso l’omonima città. Superata la zona industriale si giunge a Sorbolo, paese adagiato ad est del fiume Enza che segna il limite tra le province di Parma e Reggio Emilia.

Uscendo da Sorbolo si valica il confine con il territorio del comune di Brescello, introdotto dalla sua frazione di Lentigione. Percorrendo la provinciale SP26R si transita ora tra file di cipressi, ora tra la campagna e la ferrovia che qui è rialzata rispetto la carreggiata. In testa suona un campanellino che avverte dell’arrivo ormai imminente e di colpo ci si ridesta dalla narcosi da viaggio. Già dopo poche centinaia di metri si notano le insegne pubblicitarie di qualche albergo, enoteca o altro negozio che, inevitabilmente, hanno nel proprio nome un riferimento a Don Camillo o a Peppone.

Un cartellone vergato a mano dal locale Moto Club Peppone Don Camillo ci suggerisce di svoltare a destra all’incrocio successivo dove, poco oltre al semaforo, i nostri amici Roberto e Daniela ci attendono col sorriso di un bambino che ha visto un barattolo di Nutella. Daniela armeggia già con la sua nuova fotocamera digitale ancora prima che la salutassimo.

Finalmente entriamo nel centro della cittadina, cuore del “Ventesimo motoraduno, sedicesimo nazionale e secondo d’eccellenza”. La suggestione fa scolorire cielo ed edifici, portandoci in un mondo fantastico in bianco e nero: quello di una vecchia pellicola cinematografica.

L'approdo al raduno è nella centrale Piazza Matteotti. Meglio sarebbe dire nelle piazze centrali, per via del dualismo che si presenta da ogni angolazione: quella che è la piazza del centro storico è divisa in due porzioni, Piazza Don Camillo e Piazza Peppone. Le due statue bronzee a grandezza naturale dei celebri personaggi sono installate nella propria metà: il parroco davanti alla Chiesa di Santa Maria Nascente, con lo sguardo rivolto verso il Municipio da cui sembra appena uscito il Sindaco comunista; il parroco saluta con un cenno della mano, e Peppone ricambia levandosi il cappello. Il quadro così composto dona dinamicità all'insieme, e le statue sembrano partecipare alla vita delle persone che si muovono caotiche.

Basta alzare leggermente lo sguardo per notare che ai lati opposti alloggiano due bar, ovviamente intitolati ciascuno ad uno dei personaggi. E la dicotomia si propaga nelle vie adiacenti.

Brescello sembra un paese sospeso tra passato e presente, tra la storia compiuta e la fantasia del Guareschi. E di certo non aiuta a schiarirsi le idee vedere che i luoghi in cui sono state ambientate le scaramucce dei due protagonisti esistono veramente, che gli oggetti utilizzati da Fernandel e Gino Cervi sono veri e tangibili; ancor più se si pensa che alcuni fatti sono realmente accaduti, come l'alluvione del Po del 1951. Ma proprio questa è la forza del romanzo storico: dar vita a personaggi di fantasia che vivono le proprie esperienze in un contesto di fatti documentati. Non è un sacrilegio accostare l'opera di Guareschi ai famigerati "Promessi sposi" del Manzoni: se quest'ultimo ha dato il via al genere del romanzo storico, è altrettanto vero che il primo è l'autore italiano più tradotto in assoluto nel mondo, nonché uno tra i più venduti.

Dopo aver sbrigato le formalità dell’iscrizione davanti ai commissari federali spostiamo le moto nell’area recintata dove in meno di mezzora tutte le nostre tende sono piazzate e già pronte per ospitarci dopo le fatiche della vita da raduno. Nel frattempo ci raggiungono anche Claudio e Luisa, e il gruppo di soci partecipanti è finalmente al completo.

L’accaloramento dovuto alla frenetica attività edile è stemperato dalle poche gocce di pioggia che cadono sulle nostre teste. Non hanno di certo sudato Giuseppe e Nello che hanno preferito una stanza d’albergo al campeggio, tornando poi con noi accompagnati in automobile. Avendo ormai superato l’ora fissata per il giro turistico ci dirigiamo a piedi verso il centro città, baldanzosi nelle nostre nuove divise arancioni che risaltano nonostante il cielo velato. Fatta qualche foto individuale e di gruppo, giusto per avere la sicurezza di esserci tutti prima che i bagordi della notte mietano qualche vittima, iniziamo a girare per le vie limitrofi così da prendere confidenza con la topografia del paese e individuare qualche punto di riferimento utile ad orientarsi. In pratica cataloghiamo scrupolosamente locande, bar, stuzzicherie, piadinerie ed enoteche.

Scelto un locale ci accomodiamo sui tavolini sotto ai portici, godendo sia di uno scorcio sugli edifici già conosciuti nei film che del lambrusco fresco e frizzante che, in un battito d’ali, ci dona l’allegria e la leggerezza di ogni sua bollicina. Qui ci rilassiamo scherzando tra noi e con la barista che ha altro da sfoggiare oltre alla simpatica parlata emiliana, mentre il sole finalmente torna padrone nel suo cielo. Poco dopo alla nostra destra sfilano le moto che, di ritorno dal giro turistico, vanno ad allinearsi tra chiesa e municipio e lì fanno tacere i loro motori.

Pagato il conto dell’aperitivo andiamo a curiosare tra i mezzi parcheggiati mentre qualcuno torna alle tende perché lì ha lasciato il buono per la cena ormai incombente, nonostante Cesare si sia raccomandato di portarlo con sé assieme al tagliando dell’iscrizione: la testa inizia già a fare scherzi ancor prima che cali la notte.

Sotto al tendone trovano posto cinque lunghe tavolate. Ci allarghiamo a ventaglio per individuare una zona con tredici posti liberi e contigui. Scelto il tavolo giusto occupiamo le sedie con cappellini, felpe e ciò di cui disponiamo, così da riservare il posto ai soci che si attardano alle tende. Nel frattempo si contratta con l’organizzazione per avere qualche bottiglia di lambrusco extra-menù, spuntando il prezzo di due euro cadauna: ben presto sulla nostra tavolata spuntano scure bottiglie ricche del liquido rosso spumeggiante, una per ogni posto a sedere, e quando finalmente il gruppo si ricompone inizia la danza folcloristica di vassoi e piatti: pasta al ragù, salamella, salsiccia, insalata di pomodori, pane, caffè. Un boccone, un sorso di vino. Un piatto, una bottiglia di vino. Un caffè col suo cicchetto.

Il crepuscolo si è già infilato sotto le coperte della notte quando inizia il concerto che terrà compagnia ai convenuti; la formula proposta è quella della musica leggera italiana, da Lucio Battisti a Zucchero, rivisitata però in chiave rock’n’roll. Sarà per il ritmo serrato della batteria e del basso che la insegue, o per il riff ripetuto delle chitarre elettriche, o forse per il lambrusco, che le persone iniziano dapprima a battere il piede per terra, poi a dondolare la testa con la stessa cadenza della canzone, quindi ad alzarsi dalle sedie e ballare ognuno a suo modo. Piano piano il gruppo di danzatori si infoltisce e sotto alle luci al neon del tendone la festa impazza. Chi rimane al tavolo passa il tempo chiacchierando con l’amico a fianco; ma c’è anche chi mostra la lingua a destra e a manca in una surreale gara a chi ce l’ha più viola di tutti: evidentemente il vino non ha steso il suo velo colorato solo su labbra e lingua, ma anche e soprattutto sulla mente.

Tra un ballo e l’altro si viene rapiti, messi su una sedia che viene poi posta sopra al tavolo, e lì un folta comitiva di bontemponi porge alla vittima un bicchiere raso di vino che deve essere bevuto d’un fiato, pena la punizione con un secondo bicchiere e così via. Anche la nostra Luisa cade nella trappola, ma rende onore al Moto Club Golasecca accettando la sfida e superandola con nonchalance. Frattanto nella balera Giovanni e Daniela si scatenano in un twist senza fine, sbalordendo gli astanti: il nomignolo di Iron Man è davvero appropriato per il socio di Orino.

Mentre le persone girano su sé stesse stimolate dalla frenesia delle danze, anche l’orologio compie un altro giro. E’ la una e mezza quando una automobile sopraggiunge per recuperare Nello e Giuseppe; noi ci incamminiamo verso le tende, pronti a lasciarci alle spalle i balli e i canti, il vino e le risate, raggiungendo così il Presidente che con il piccolo Andrea si era già congedato da qualche ora, seguito poi da Roberto e Sandra. Lungo la strada si unisce a noi una simpatica gattina bianca, ma con qualche spruzzatina di grigio su schiena e coda, a cui stiamo subito simpatici: ci concede così le sue fusa in cambio di qualche carezza, e decide di seguirci miagolando. A malincuore la lasciamo oltre la cancellata di un’abitazione sperando capisca che non deve rincorrerci, ma ci pedina ancora per qualche centinaio di metri fino a che decide di desistere.

Inizia quindi il teatrino della notte al raduno: una rinfrescata, poi si va di spazzolino e dentifricio, si sistema il sacco a pelo, ci si spoglia e si scivola nel buio della tenda, suggellando la voglia di riposare e dormire con il rumore della lampo che la chiude come fosse un sipario. Ma come sempre si tratta di un’illusione, un abbaglio. Sperare di addormentarsi presto nella notte di un motoraduno è una chimera che crolla velocemente innanzi al parlottare di chi in tenda recita i più disparati sermoni, di coloro che fuori dalle tende raccontano tutto quello che hanno fatto durante il giorno a voce alta, così da assicurarsi che tutti lo sappiano; poi c’è chi canta fino a quando non finisce la bottiglia avanzata a cena, e chi fuma le ultime otto o nove sigarette prima di coricarsi. E a te, povero illuso, non resta altro che attendere il passare delle ore e il momento in cui il cervello staccherà l’interruttore per via dello sfinimento.

Poi accade qualcosa che non ti aspetti, che ti sorprende, che ti agita. E non in senso figurato. D’un tratto qualcosa ti scuote, la tenda oscilla, il materassino sobbalza e la tua testa, i tuoi arti ondeggiano come quelli di un parkinsoniano; per i primi cinque secondi credi che sia qualche bontempone che non ti vuole far dormire, ma poi quando il silenzio viene rotto dai cani che abbaiano, dalle sirene degli antifurti, dal rumore sordo che senti salire dalla terra, capisci che si tratta di un terremoto. E che terremoto. Cerchi di fare mente locale: la moto non è più a fianco della tenda perché l’hai spostata nel pomeriggio, così grazie al cielo non ti può rovinare addosso; attorno non ci sono edifici, o almeno non così vicini; l’unica cosa che ti può crollare in testa è un albero.

Dopo venti secondi la tenda si ferma. E’ finita. Ti ridesti e aspetti qualche attimo perché l’adrenalina in circolo diminuisca, e poi esci dalla tenda ad incrociare lo sguardo di chi come te è abbastanza lucido per avvertire il terremoto. In pochi attimi sopraggiunge la protezione civile a sincerarsi che nessuno abbia bisogno di aiuto. Poi è la volta degli ultimi partecipanti che tornano dal centro del paese, raccontando a chiunque della gru che ha oscillato come un pendolo, della pesa pubblica che muovendosi ha fatto venire le vertigini a qualcuno che vi stava passando sopra.

Passa almeno un’ora prima che si plachi la curiosità, o l’affanno, a seconda di come ognuno abbia vissuto quei lunghissimi venti secondi. Finalmente la stanchezza della giornata inizia a pesare sulle palpebre. Il sonno spazza via i pensieri, ma fai ancora in tempo a dirti che domattina ti informerai sul cosa e sul dove sia successo. Domattina in realtà arriva subito: un’ora e mezzo di sonno, il minimo sindacale per avere le energie per alzarsi, darsi una lavata fugace, smontare la tenda e caricare tutto sulla moto. La spia delle calorie segna già la riserva per cui saliamo in sella e riportiamo le moto nei pressi della statua di Don Camillo, mentre dalle nuvole compatte inizia a cadere qualche goccia ticchettante, che in pochi istanti si sommano diventando un rovescio.

Dopo una colazione fugace, per molti integrata dal panino offerto dagli organizzatori grazie al buono avuto il giorno prima, approfittiamo del brutto tempo per dedicarci al turismo: visitiamo quindi il Museo “Peppone e Don Camillo”, il Museo “Brescello e Guareschi, il territorio e il cinema”, il Museo archeologico, la donazione “Raffaele Vaccari” e ovviamente la chiesa di Santa Maria Nascente. La quantità di informazioni, immagini, oggetti, aneddoti è impressionante. Oltre ai pezzi più propriamente legati ai racconti del Guareschi, come il carro armato americano ritrovato da Don Camillo che viene usato per una fuga notturna che termina con una cannonata contro la colomba della pace comunista di Peppone, l’abito talare del parroco, le loro biciclette, l’ufficio del sindaco baffuto, il Cristo con cui parla Don Camillo ecc. scopriamo, per esempio, che alcuni dirigenti del Partito Comunista e gli intellettuali a loro vicini contestarono duramente l’opera di Giovannino Guareschi, reo secondo loro di dipingere il popolo emiliano rosso come un gregge di contadini ignoranti, votati alla violenza; e che ardua fu la difesa dell’autore che si dovette confrontare con loro addirittura davanti ad una adunanza di ventimila persone, argomentando, libro in mano, le proprie ragioni contro le accuse ricevute. Scopriamo anche che Brescello fu un importante fulcro dell’Impero Romano, grazie alla sua posizione strategica rispetto alle vie del commercio. Ancora oggi si possono ammirare, tra i tanti reperti, gli oggetti recuperati in quelle che furono le domus e la necropoli: anfore, statue, pavimentazioni, ricostruzione degli ambienti domestici, diagrammi delle opere idriche; elementi che ci portano a conoscere gli aspetti della cittadina che non hanno avuto la stessa eco dei romanzi e dei film.

Tutti sanno bene che studiare richiede molte energie. Per fortuna mezzogiorno ha già rintoccato da un po’ e le cuoche sono pronte a servire il frutto del loro lavoro da volontarie: un bel piatto di pasta e un fuso di pollo con le patate al forno permettono di recuperare le forze in vista del rientro verso casa. Mentre pranziamo continua a piovere rumorosamente, ma tutti parlano di quanto è successo durante la notte. Il terremoto ha avuto il suo epicentro a San Felice sul Panaro, a una sessantina di chilometri da Brescello, e la sua forza distruttiva ha fatto crollare edifici storici, monumenti, case e industrie. E ci sono sicuramente delle vittime. Guardandoci attorno non ci sorprendiamo nel vedere che la domenica non ha avuto la partecipazione che si meritava: tra terremoto, freddo e pioggia, molti hanno rinunciato al raduno, e tanti sono ripartiti nelle prime ore del mattino.

Terminato il pranzo è il momento delle premiazioni. Il Moto Club Golasecca cala sul tavolo verde un tris di premi: per il gruppo extra-regionale più numeroso, per il pilota iscritto più anziano e per quello più giovane, poi convertito a maggioranza in premio al passeggero più piccolo. A ritirare i trofei, nella fattispecie ghiotti prodotti locali, si susseguono Cesare in qualità di Presidente, Giovanni, e il piccolo ma sorridente Andrea.

Ormai si sono fatte le 15.30. La pioggia continua a scendere in questo angolo della Bassa Parmense e noi ripartiamo verso il Varesotto salutando i nostri ospiti con colpi di clacson e mani alzate. La via del ritorno è quella del giorno prima, percorsa in senso inverso. Uscendo da Brescello il mondo in bianco e nero ritorna a colori: il sortilegio che ci ha fatto vivere in una pellicola cinematografica si è spezzato, e davanti a noi si spiana la strada che ci riporta alla quotidianità della nostra vita, in cui ognuno di noi è l’attore protagonista.

 

Qui le immagini del motoraduno.