Facciamo un conto veloce: Carnevale è già alle spalle, sul calendario c’è scritto che domenica 13 marzo è il primo giorno di Quaresima per cui la primavera sta arrivando col suo carico di sole, colori e quel teporino che ti fa iniziare la giornata col sorriso. Eppure c’è qualcosa che non torna: aprendo la finestra alle 7:00 del mattino mi trovo davanti un mondo diverso da quello atteso. Nessun colore, forse la pioggia fitta che perdura dalla notte ha stinto il verde degli alberi e dei campi che mi circondano, e ha lavato via il rosso dei tetti. Uno sbuffo di fresco vento mi nebulizza un po’ di pioggia sulla faccia, e come se fosse stata una spruzzata di spray urticante mi sveglio di colpo e decido in un attimo: doccia bollente per accumulare calore, colazione rapida, scafandro da palombaro, pigiata allo starter e sono già in strada.

Non è bello arrivare al luogo del ritrovo e trovare il nulla: ormai mi sono abituato bene, e ogni volta che raggiungo la gelateria Peccati di Gola trovo sempre le moto già schierate e le brioche già razziate dagli amici. Invece stamattina non c’è nessuno. Amen, si fa inversione. Ma da dietro un pick-up parcheggiato nel piazzale fa capolino la moto del Presidente. Allora la cosa cambia: c’è da onorare la gita a Castellania, in provincia di Alessandria, dove visiteremo la casa in cui è nato e cresciuto Fausto Coppi.

Partiamo alle 8:10 sotto una pioggia battente e dalla superstrada di Malpensa sbuchiamo nei pressi di Nosate, dove un ponticello ci porta a costeggiare il canale Villoresi fino a Turbigo, dove diventa Naviglio. L’acqua alla nostra destra è ferma e grigia come l’asfalto su cui ci muoviamo, e per un attimo sorge il dubbio di essere nella corsia sbagliata della carreggiata, di viaggiare contromano. Al ponte di Turbigo ci dovrebbe aspettare un amico, ma basta una rapida occhiata prima e dopo il ponte per capire che il rendez-vous non avverrà: non ci fermiamo nemmeno e facciamo rotta verso Novara, per imboccare poi la strada regionale che la unisce a Mortara passando per Garbagna Novarese e Borgolavezzaro.

La Lomellina è una strada libera, questa mattina. Incrociamo poche auto che avanzano annoiate sotto i colpi dei tergicristalli mai fermi, e nei tratti extra-urbani ci concediamo qualche trasgressione tachimetrica al codice della strada: in altri frangenti la via che congiunge Lomello a Pieve del Cairo (dove si supera il fiume Po’) e Tortona, allieta lo sguardo con le sue campagne e le risaie che le scorrono lungo i lati, interrotti solo dalle cascine e dalle aziende agricole che passano veloci oltre la visiera; oggi invece guardando oltre il ciglio dell’asfalto vediamo solo una enorme distesa di fanghiglia, e questo ci stimola a ruotare l’acceleratore. A Castelnuovo Scrivia costeggiamo un breve tratto dell’omonimo fiume Scrivia, le cui acque sono completamente marroni, di una torbido impressionante. Le immagini del disastro che ha sconvolto il Giappone sono ancora fresche sulla retina dell’occhio, e il corso d’acqua fangosa le richiama per un attimo alla mente. Ci pensa il freddo a riportare l’attenzione al presente: la pioggia adesso picchietta sul casco producendo uno strano rumore, uno sfrigolio che ricorda quelle cicche a pezzettini che mangiavi da bambino, e che quando le mettevi in bocca ti scoppiettavano come dei pop-corn. Forse è acqua ghiacciata. E il dubbio è legittimo quando ti accorgi che i muscoli sono contratti nel tentativo di resistere alla temperatura che nel frattempo è scesa in modo sensibile.

Avere una moto ignorante, senza argomenti da prima della classe come per esempio il termometro digitale, ti dà il vantaggio psicologico di non sapere quanti gradi ci sono e di tirare dritto. Siamo quasi arrivati alla meta: con la punta dei piedi congelata raggiungiamo Carbonara Scrivia, Villavernia, per poi puntare alle colline della Val Curone, Val Grue e Val Ossona e risalire da Carezzano a Castellania percorrendo la strada panoramica che si distende sinuosa sui fianchi delle colline, disegnando curve goderecce e regalando gustosi spunti paesaggistici, offuscati purtroppo dal grigiore di una giornata piovosa. E’ impossibile sbagliare strada: praticamente ad ogni incrocio troneggia una gigantografia che ritrae Fausto Coppi, il Campionissimo, il Campione dei Campioni, l’Airone, nei suoi momenti di esultanza e di massimo sforzo, tra le cime dolomitiche o sui Pirenei.

Sotto la guida colta ed appassionata di una volontaria che cura la casa natale di uno dei quindici italiani più famosi al mondo veniamo catapultati nel primo dopoguerra, e tra immagini, documenti, cimeli, biciclette e maglie iridate, rosa e gialle, vediamo scorrere nei nostri occhi la storia di un uomo eccezionale, della sua famiglia e del suo Paese, di quell’Italia che si riprende dalla prima guerra mondiale per poi cadere nel baratro della seconda, che vive il boom degli anni cinquanta, fino a quel 2 gennaio 1960 che strappa Fausto Coppi alle sue imprese, ai suoi famigliari, e a tutti i suoi fan, consegnandolo al mito ed alla leggenda. Tanti sono gli aneddoti raccontati, e ancor più numerosi sono gli spunti offerti da quanto esposto nella casa-museo.

Si è già fatto mezzogiorno e così ci concediamo un’oretta di tregua dalla pioggia per mangiare un panino, lasciandoci coccolare dal calore di una stufa a pellet. Il fugace pranzo si conclude con un mini spettacolo di magia offerto dal gestore della locanda: i trucchi li sapevamo già, ma erano gratis e quindi abbiamo preferito far finta di nulla e lasciare al nostro prestigiatore la convinzione di averci sorpreso e stupiti. Indossate nuovamente le tute antipioggia inforchiamo le moto che grondano acqua: forse anche loro sono più contente ora che il motore è acceso e le riscalda un po’. Ci spostiamo di dieci metri più in alto per raggiungere la chiesetta costruita in onore dell’illustre cittadino, dietro al monumento dedicato a Fausto e a Serse, il fratello minore, anch’egli ciclista, anche lui sfortunato. Oltre la chiesetta c’è il mausoleo con le tombe che preservano le spoglie mortali dei due fratelli. Facciamo qualche foto con il cellulare in rispettoso silenzio, e poi ripartiamo per tornare verso casa. 

Il rientro sarà tutto in autostrada, entrando a Tortona, seguendo la bretella che porta dalla Milano-Genova alla Alessandria-Gravellona Toce e puntando verso nord, schiaffeggiati da un vento teso. Ovviamente la pioggia cade incessantemente davanti alla ruota, ma ormai la sua presenza è così normale che non ci fai neanche più caso. Come per il grigio che ti circonda: l’unico punto di colore è la moto di Cesare, qualche decina di metri più avanti, con il suo verde e la bandiera italiana dipinta sul codone. E vedendo quella bandiera non puoi non emozionarti, non pensare che per un attimo sei entrato nella vita di un uomo che ha reso grande la sua Nazione con il sacrificio, la fatica, l’abnegazione. L’avresti mai detto? Si può essere un grande uomo anche solo pedalando.

 

Qui le immagini della gita.