Non è facile mettere nero su bianco quello che può accadere in un viaggio in moto di tre giorni. Ti prende un po’ quella sensazione che da piccolo hai conosciuto come “sindrome del foglio bianco”: la maestra dettava la traccia del tema, e tu per i primi interminabili minuti fissavi il foglio di protocollo domandandoti cosa potevi scrivere, come potevi iniziare il tuo racconto. Alla fine del duro lavoro la maestra giudicava il tuo scritto, e se la sua penna rossa avesse scritto “Ottimo” sull'ultima pagina ti saresti riempito di gioia ed orgoglio.

Oggi non c’è più nessuno che giudica ciò che scrivi, eppure le emozioni sono ancora simili. Già, le emozioni. Credo che la cosa più importante da serbare nel cuore e nella mente siano le sensazioni che hai vissuto e condiviso con i tuoi compagni d’avventura. E in tre giorni di viaggio e di convivenza, di cose ne possono capitare molte.

Un po’ come a scuola, dove non hai scelto i compagni di classe, così non hai scelto gli amici a tavola, nella camerata, quelli che cavalcano la loro moto davanti e dietro di te: ci si è incontrati per caso, guidati dall’amore per la motocicletta e per tutto quello che rappresenta. Libertà, condivisione, sofferenza e gioia: queste sono emozioni forti in grado di unire le persone, di aggregarle non in base a status, lavoro o età, ma in base alla complicità di chi capisce cosa sta provando colui che è lì al suo fianco senza necessità di proferire parola.

Non è necessario essere in cinquanta, in cento. Bastano già due persone per far nascere quel senso di appartenenza ad un gruppo più numeroso, ad un qualcosa che magari esagerando possiamo chiamare fratellanza. E come in una famiglia numerosa c’è il fratello maggiore ed il più giovane, c’è quello più schivo e quello più espansivo, il carismatico, chi ha bisogno di isolarsi ogni tanto e chi invece lascia la famiglia e segue la propria strada. Forse è proprio così: nel nostro viaggio in Slovenia ci siamo ritrovati fratelli nella stessa famiglia.

Come spiegare altrimenti la felicità nell'incontrare una parte dei compagni di viaggio a Busto Arsizio, vederli accodarsi al gruppo, poi trovarne un altro pronto per unirsi a noi addirittura a Padova, e attraversare così il nord Italia fino al suo confine orientale, a Trieste? Ci si era visti la sera prima al pub, ma incontrandosi on the road si ha l’illusione di ritrovarsi dopo molto tempo. E, al contrario, come spiegar la sensazione di distacco nel viaggio di ritorno, vedendo gli amici lasciare via via il gruppo dopo mille e duecento chilometri in cui si è stati fianco a fianco, sulla strada come nell'ostello la notte, o nella pancia della terra nelle meravigliose e fiabesche grotte di Postumia, in territorio sloveno? O, ancora, dopo aver risalito i trecento scalini che conducono sulla sommità del Sacrario Militare di Redipuglia, scorrendo con gli occhi i nomi di decine e decine di migliaia di soldati caduti nella Grande Guerra, cercando magari il cognome dei propri famigliari in quell'infinito appello insanguinato?

Certamente ci sono stati anche tanti momenti di svago, di divertimento, di sdrammatizzazione. Ci si è presi in giro facendosi burla dei piccoli difetti altrui o di qualche comportamento scapestrato. O magari ironizzando sul paese quasi fantasma in cui abbiamo alloggiato, che nella sua immobilità ha avuto il pregio di fare da cassa di risonanza alla nostra amicizia. Sulle strade slovene, impeccabili nella loro pulizia e manutenzione, abbiamo potuto dare libero sfogo al lato smanettone di ognuno di noi su curve veloci e scollinamenti continui, correndo per interminabili chilometri in una pista naturale, circondata da campagne, vigneti, pascoli e coltivazioni, sovrastata da un cielo sconfinato e diamantino, a volte rabbuiato da nuvole tanto minacciose quanto innocue. Motociclisticamente parlando, la Slovenia è un piatto ghiotto. Meno ghiotta è la cucina locale, almeno nei posti da noi raggiunti. Soprattutto per chi non è avvezzo ai piatti ruspanti e poveri della cultura contadina.

Le ondeggianti distese verdi delle terre che una volta furono italiane ricordano, per contrasto, l’azzurro mare che si apre davanti a Trieste, prima meta del nostro viaggio assieme al Castello di Miramare. E un castello è anche l’ultima attrazione visitata oltre confine, a Predjama, dove la fortificazione si erge in una massiccia parete rocciosa. Non sopra la montagna, ma bensì dentro di essa.

La darsena che conduce al Teatro Romano di Trieste va in coppia con il fiume Plika, incontrato sotto ad un ponte in Slovenia e ritrovato ottanta metri sottoterra nelle cave calcaree di Postumja. La prima si fa largo verso il centro della città, il secondo verso il centro della Terra. Tutte queste similitudini forse sono solo frutto di illusione, oppure sono riflessioni che nascono con l’intenzione di trovare un tratto di unione tra due terre che sono state divise non dalla natura, ma dalle guerre degli uomini.

No, non è facile raccontare un viaggio di tre giorni, una strada lunga milleduecento chilometri, sei luoghi visitati. Non è semplice mettere insieme parole grosse come amicizia, libertà, guerra, emozioni. E’ molto più facile vivere il viaggio, accettando tutto ciò che esso può regalare: soddisfazione, gioia, fatica, caldo, pioggia, adrenalina, riflessioni. E quanto all'amicizia, è più facile sperimentarla che pensarla, perché pensare troppo sui rapporti con le persone può portare il buio anche là dove c’è tanta luce.

Intanto il tempo è passato, e ancora il foglio è bianco. Hai pensato a tante cose, hai rivissuto tanti bei ricordi, ma non sei riuscito a riempire quella pagina bianca come avresti voluto. Cosa dirà la maestra?

 

N.d.r. Cesare, Aurelio, Giuseppe, Francesco, Maura, Massimo, Roberta: non è stato possibile riportare tutte le cose che abbiamo fatto e ci siamo detti. Servirebbe una telecamera sempre accesa per registrare gesti e parole (anche di notte, tanto di movimenti e rumori ce ne sono stati...). Ma sono convinto che tutti noi abbiamo registrato tanti ricordi nella nostra mente.