Ci sono luoghi che hanno un fascino quasi misterioso dove le persone fanno più volte ritorno, perché la prima volta che vi sono giunte hanno vissuto momenti che ancora ricordano con piacere, perché ne sono stati rapiti, o hanno vissuto esperienze particolarmente piacevoli, o magari hanno sperimentato una particolare sintonia con altri individui, vivendo quella speciale intimità saggiata solo da chi trascorre un po’ di tempo in un luogo piccolo e modesto. Sono posti in cui le persone si legano come i metalli nella fucina dell’alchimista che fonde ferro, piombo, rame e altri elementi, cercando di ottenere l’oro. 

Di località affascinanti i soci del Moto Club Golasecca ne hanno potute visitare in quantità: come dimenticare le cime delle Alpi Francesi, la spianata di Campo Imperatore, il lago di Campotosto, la piccola Corsica, le vette dolomitiche così come le miti colline che movimentano l’orizzonte al centro della nostra penisola, tra Toscana, Umbria e Marche? Eppure, senza allontanarci troppo dal centro del nostro piccolo mondo, c’è un punto che si raggiunge in poco più di un’ora di tranquillo trottare in motocicletta, abbarbicato sulle vicine Prealpi, a poco più di milleseicento metri sull’Alpe Devero. Un minuscolo edificio che si incontra all’inizio dell’omonimo Parco e che appena superato cede il posto e la scena alle baite che lo circondano, ai tetti in beola che le custodiscono, e all’indiscreto incombere della montagna. E’ il rifugio del C.A.I. di Sesto Calende, dalla forma stretta e allungata, resa ancor più caratteristica dal tetto spiovente. I muri sono ricoperti di intonaco dal colore leggero che lo rende ancora più gracile al primo sguardo. Ma è proprio dentro quei muri raffreddati dall’aria sottile di montagna che si nasconde un particolare calore. Certo, i locali dispongono di riscaldamento a metano e anche di una moderna stufa a pellets, ma il calore di cui discorriamo non nasce da una fiamma, non si alimenta seguendo le leggi della chimica: è generato piuttosto dalle persone che lo animano, che danno voce e vita ai mattoni altrimenti silenziosi.

La due-giorni sul Devero è una classica del nostro Moto Club: appena si affaccia l’autunno, puntuale arriva anche il fine settimana alpino. Conosciamo molto bene quei luoghi: i sentieri su cui più volte abbiamo passeggiato a volte sotto un tiepido sole, altre stringendo il bavero per non permettere al vento tagliente e gelido di infilarsi sotto ai vestiti; i laghetti ai cui argini abbiamo sostato spesso in silenzio, o raccontandoci fatti divertenti, purtroppo anche attoniti come accadde lo scorso anno quando nella pace del mattino ci giunse la notizia della tragica morte del povero Simoncelli. Eppure l’abitudine non riesce a frenare l’entusiasmo con cui affrontiamo la veloce trasferta, così come nulla può il clima autunnale che sovente promette giornate illuminate dal sole per poi tradirti con un repentino oscuramento del cielo e con l’inaspettata pioggia, costringendoti a sostare sul ciglio della strada per indossare tute che ti rendono goffo e impacciato nei movimenti.

Una volta giunti al rifugio gli elementi dell’incantesimo ci sono tutti: basta saperli amalgamare sapientemente per produrre l’elisir della serenità. Ognuno ha un ruolo da svolgere al momento giusto del rituale. C’è chi provvede a scaricare il cibo e tutto il materiale trasportato con il furgone presidenziale, chi agisce su rubinetti, tubature e stufe per padroneggiare il fuoco e il calore, chi armeggia con pentole e ingredienti per cucinare piatti genuini. Ci sono persone che devono ipnotizzare i più affamati per tenerli lontani dalle pietanze fino all’ora della cena, e i giullari che danno ritmo alle varie attività con musiche e trovate comiche. E ogni anno c’è qualcuno che vive questi momenti da novizio: non ci vuole però molto tempo prima che costoro riescano ad entrare in sintonia con gli altri compagni di avventura, grazie alla magia creata da questi improbabili maghi e fattucchiere che ogni volta danno vita al sortilegio che fa rilassare le persone così che si divertano, mangino e bevano e cantino come sotto ad una invisibile e gaia campana che li protegge dai problemi e dai pensieri che tutti, nella propria vita, affrontano.

La festa inizia quando si accendono i motori a Somma Lombardo. Un po’ in sordina, per via di qualche decina di chilometri di autostrada e di statale diritte come un filo a piombo. Ma poi, come accade per uno spettacolo pirotecnico dove i colori e i botti inizialmente rarefatti aumentano di frequenza e di varietà fino al caotico ed emozionante finale, i fatti si susseguono a un ritmo via via crescente spingendo l’allegra compagnia fino ad orari non meglio definiti a cavallo della notte e dell’alba. La cosa difficile è ricordarli al risveglio: ci si alza dal letto chi per necessità, chi perché svegliato dal borbottio di coloro che stanno già facendo colazione in soggiorno; la mente però è ancora appoggiata sul cuscino e tiene ben strette le coperte, anestetizzata dalla baldoria del giorno precedente. In tutta questa nebbia, gli unici elementi con cui documentarsi sono le fotografie scattate non si da chi né quando, e i racconti messi insieme con i frammenti che riemergono e che, accostati, formano un puzzle a cui mancano molti pezzi. Si scopre così che in questo quadretto fiabesco animato da maghi e streghette trovano posto anche altri personaggi. Ad esempio i folletti dispettosi che, calzando un casco al posto del tipico berretto appuntito, si intrufolano nelle camerate per avventarsi sui meno giovani che già dormono avvolti nel proprio sacco a pelo, risvegliandoli in modo tutt’altro che dolce sotto la tortura del solletico e di manovre da rianimazione cardiocircolatoria. Ma ci sono anche gli gnomi che attraversano il bosco silenzioso e bagnato dalla fine pioggerella; sono gnomi strani, che non ricordano per nulla i nani della fiaba di Biancaneve perché non vestono tuniche colorate ma stivali in goretex e pile ricamati con lo stemma del Golasecca. E poi, chi ha mai sentito uno gnomo parlare con accento veneto?

Altri episodi riemersi dal buio raccontano di una pasta aglio, olio e peperoncino cucinata a notte fonda nonostante la cena fosse stata già ricca e saziante; di pochi minuti in cui sono stati festeggiati i compleanni di oltre venti persone con cori canzonatori e bevute di vino “alla goccia” affrontate con coraggio dal festeggiato di turno; per diverse ore il silenzio della montagna è stato rotto dalle voci di chi ha cantato sulle tanti basi del karaoke, senza il pudore che gli stonati dovrebbero avere prima di unirsi ad un coro. A proposito, una scenetta molto divertente, fortunatamente immortalata in una fotografia, riguarda un nostro socio di cui non facciamo il nome per preservarne l’onore: totalmente rapito da una canzone romantica che ha miseramente demolito con la sua voce, non si è accorto che mentre cantava tutti si stavano dotando di fazzolettini di carta e, al termine della sua prestazione canora, girandosi verso il gruppo ci ha sorpresi a piangere disperatamente nei nostri fazzoletti. L’espressione che si è dipinta sul suo volto è del tipo “ma staranno piangendo per le parole della canzone, o perché li ho commossi io?”. Né una né l’altra: piangevamo solo perché desideravamo che quel martirio acustico finisse il prima possibile.

Qualcuno si è allontanato dal rifugio nell’oscurità, inseguito poi da chi si è improvvisato ricercatore, ma per fortuna non ha incontrato il lupo cattivo e dopo diverso tempo ha fatto ritorno, assai infreddolito. Per festeggiarne il rimpatrio abbiamo rimesso mano alle padelle e, dopo pochi minuti scoppiettanti, dalla cucina sono uscite enormi ciotole ricolme di popcorn. Nel frattempo l’orologio e le stelle sopra le nostre teste hanno continuato a muoversi e a girare: gli ultimi botti dei fuochi d’artificio sono scoppiati nelle camere, poi repentino è arrivato il silenzio nel mondo.

Già. Questo mondo che continua imperterrito a roteare nonostante l’agire non sempre cavalleresco degli uomini, incurante degli accadimenti che punteggiano la nostra vita affannata come nodi su di un ramo, così vasto che non basterebbe un’intera esistenza in sella ad una moto per visitarne gli angoli più remoti, popolato da così tante persone, da miliardi di sconosciuti che non sanno nemmeno che esistiamo. In questo mondo, fortunatamente, ci sono ancora luoghi e persone che scaldano l’anima.

 

Qui le immagini del weekend.